Italia mia,
benché ’l parlar
sia indarno
Francesco
Petrarca
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All’Italia
Giacomo
Leopardi
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Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
a le piaghe
mortali
piacemi almen che
’ miei sospir’ sian quali
spera ’l Tevero
et l’Arno,
e ’l Po, dove
doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo,
io cheggio
che la pietà che
Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo
dilecto almo paese.
Vedi, Segnor
cortese,
di che lievi
cagion’ che crudel guerra;
e i cor’, che
’ndura et serra
Marte superbo et
fero,
apri Tu, Padre, e
’ntenerisci et snoda;
ivi fa che ’l Tuo
vero,
qual io mi sia,
per la mia lingua s’oda.
Voi cui
Fortuna à posto in mano il freno
de le belle
contrade,
di che nulla
pietà par che vi stringa,
che fan qui tante
pellegrine spade?
perché ’l verde
terreno
del barbarico
sangue si depinga?
poco vedete, et
parvi veder molto,
ché ’n cor venale
amor cercate o fede.
Qual piú gente
possede,
colui è piú da’
suoi nemici avolto.
O
diluvio raccolto
di che deserti
strani
per inondar i
nostri dolci campi!
Se da le proprie
mani
questo n’avene,
or chi fia che ne scampi?
Ben provide
Natura al nostro stato,
quando de l’Alpi
schermo
pose fra noi et
la tedesca rabbia;
ma ’l desir
cieco, e ’ncontr’al suo ben fermo,
s’è poi tanto
ingegnato,
ch’al corpo sano
à procurato scabbia.
Or dentro ad una
gabbia
s’annidan sí che
sempre il miglior geme:
et è questo del
seme,
per piú dolor,
del popol senza legge,
al qual, come si
legge,
Mario aperse sí
’l fianco,
che memoria de
l’opra ancho non langue,
quando assetato
et stanco
non piú bevve del
fiume acqua che sangue.
Cesare taccio che
per ogni piaggia
fece l’erbe
sanguigne
di lor vene, ove
’l nostro ferro mise.
Or par, non so
per che stelle maligne,
che ’l cielo in
odio n’aggia:
vostra mercé, cui
tanto si commise.
Vostre voglie
divise
guastan del mondo
la piú bella parte.
Qual colpa, qual
giudicio o qual destino
fastidire il
vicino
povero, et le
fortune afflicte et sparte
perseguire, e ’n
disparte
cercar gente et
gradire,
che sparga ’l
sangue et venda l’alma a prezzo?
Io parlo per ver
dire,
Né v’accorgete
anchor per tante prove
del bavarico
inganno
ch’alzando il
dito colla morte scherza?
Peggio è lo
strazio, al mio parer, che ’l danno;
ma ’l vostro
sangue piove
più largamente,
ch’altr’ira vi sferza.
di voi pensate,
et vederete come
tien caro altrui
che tien sé cosí vile.
Latin sangue gentile,
sgombra da te
queste dannose some;
non far idolo un
nome
vano senza
soggetto:
ché ’l furor de
lassù, gente ritrosa,
vincerne
d’intellecto,
peccato è nostro,
et non natural cosa.
Non è questo ’l
terren ch’i’ toccai pria?
Non è questo il
mio nido
ove nudrito fui
sí dolcemente?
Non è questa la
patria in ch’io mi fido,
madre benigna et
pia,
che copre l’un et
l’altro mio parente?
Perdio, questo la
mente
talor vi mova, et
con pietà guardate
le lagrime del
popol doloroso,
che sol da voi
riposo
dopo Dio spera;
et pur che voi mostriate
segno alcun di
pietate,
vertú contra
furore
prenderà l’arme,
et fia ’l combatter corto:
ché l’antiquo
valore
ne gli italici
cor’ non è anchor morto.
Signor’, mirate
come ’l tempo vola,
et sí come la
vita
fugge, et la
morte n’è sovra le spalle.
Voi siete or qui;
pensate a la partita:
ché l’alma ignuda
et sola
conven ch’arrive
a quel dubbioso calle.
Al passar questa
valle
piacciavi porre
giú l’odio et lo sdegno,
vènti contrari a
la vita serena;
et quel che ’n
altrui pena
tempo si spende,
in qualche acto piú degno
o di mano o
d’ingegno,
in qualche bella
lode,
in qualche
honesto studio si converta:
cosí qua giú si
gode,
et la strada del
ciel si trova aperta.
Canzone, io
t’ammonisco
che tua ragion
cortesemente dica,
perché fra gente
altera ir ti convene,
et le voglie son
piene
già de l’usanza
pessima et antica,
del ver sempre
nemica.
Proverai tua
ventura
fra’ magnanimi
pochi a chi ’l ben piace.
Di’ lor: - Chi
m’assicura?
I’ vo gridando:
Pace, pace, pace. -
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O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite, Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, Formosissima donna! Io chiedo al cielo E al mondo: dite dite; Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che di catene ha carche ambe le braccia; Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata, Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange. Piangi, che ben hai donde, Italia mia, Le genti a vincer nata E nella fausta sorte e nella ria. Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Mai non potrebbe il pianto Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; Che fosti donna, or sei povera ancella. Chi di te parla o scrive, Che, rimembrando il tuo passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella? Perchè, perchè? dov'è la forza antica, Dove l'armi e il valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? Chi ti tradì? qual arte o qual fatica O qual tanta possanza Valse a spogliarti il manto e l'auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in così basso loco? Nessun pugna per te? non ti difende Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl'italici petti il sangue mio. Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, Un fluttuar di fanti e di cavalli, E fumo e polve, e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Nè ti conforti? e i tremebondi lumi Piegar non soffri al dubitoso evento? A che pugna in quei campi L'Itala gioventude? O numi, o numi: Pugnan per altra terra itali acciari. Oh misero colui che in guerra è spento, Non per li patrii lidi e per la pia Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui, Per altra gente, e non può dir morendo: Alma terra natia, La vita che mi desti ecco ti rendo. Oh venturose e care e benedette L'antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre; E voi sempre onorate e gloriose, O tessaliche strette, Dove la Persia e il fato assai men forte Fu di poch'alme franche e generose! Io credo che le piante e i sassi e l'onda E le montagne vostre al passeggere Con indistinta voce Narrin siccome tutta quella sponda Coprìr le invitte schiere De' corpi ch'alla Grecia eran devoti. Allor, vile e feroce, Serse per l'Ellesponto si fuggia, Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; E sul colle d'Antela, ove morendo Si sottrasse da morte il santo stuolo, Simonide salia, Guardando l'etra e la marina e il suolo. E di lacrime sparso ambe le guance, E il petto ansante, e vacillante il piede, Toglieasi in man la lira: Beatissimi voi, Ch'offriste il petto alle nemiche lance Per amor di costei ch'al Sol vi diede; Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Nell'armi e ne' perigli Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell'acerbo fato amor vi trasse? Come sì lieta, o figli, L'ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al passo lacrimoso e duro? Parea ch'a danza e non a morte andasse Ciascun de' vostri, o a splendido convito: Ma v'attendea lo scuro Tartaro, e l'onda morta; Nè le spose vi foro o i figli accanto Quando su l'aspro lito Senza baci moriste e senza pianto. Ma non senza de' Persi orrida pena Ed immortale angoscia. Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava Con le zanne la schiena, Or questo fianco addenta or quella coscia; Tal fra le Perse torme infuriava L'ira de' greci petti e la virtute. Ve' cavalli supini e cavalieri; Vedi intralciare ai vinti La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra' primieri Pallido e scapigliato esso tiranno; Ve' come infusi e tinti Del barbarico sangue i greci eroi, Cagione ai Persi d'infinito affanno, A poco a poco vinti dalle piaghe, L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva: Beatissimi voi Mentre nel mondo si favelli o scriva. Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell'imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando Verran le madri ai parvoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, O benedetti, al suolo, E bacio questi sassi e queste zolle, Che fien lodate e chiare eternamente Dall'uno all'altro polo. Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle Fosse del sangue mio quest'alma terra. Che se il fato è diverso, e non consente Ch'io per la Grecia i moribondi lumi Chiuda prostrato in guerra, Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri. |
domenica 1 settembre 2019
Italia mia, patria mia
Due liriche dedicate all'Italia da due dei suoi maggiori poeti.